ADVexpress – 12 ottobre 2012
IAB/8. Venture capital, il rischio che crea ricchezza (e lavoro)
di Mario Garaffa
Non sono benefattori, ma professionisti che realizzano delle fredde analisi di business. Stiamo parlando dei venture capitalist, ossia investitori che finanziano l’avvio o la crescita di attività in settori a elevato potenziale di sviluppo. Del tema si è discusso allo Iab Forum 2012 di Milano. Il premio startup Nicola Silvestri è andato a Iubenda. Saper riconoscere i germogli di quercia. È questa, in estrema sintesi, la difficile arte dei venture capitalist, che devono investire su attività in stadio embrionale, aiutandole a diventare grandi (come querce, appunto), finanziando l’avvio o la crescita di iniziative in settori a elevato potenziale di sviluppo. Lo scopo di fondo, come ribadito allo Iab Forum 2012 nel corso di un workshop dedicato al tema, è fare business, creare ricchezza, per la startup ovviamente, ma soprattutto per gli investitori che hanno messo a disposizione i loro capitali. I venture capitalist non sono, infatti, dei benefattori, ma professionisti che realizzano delle fredde analisi di business. Investono dove vale la pena farlo, e nel decidere su quali progetti rischiare non tengono conto solo dell’idea in sé, ma anche di un’altra variabile fondamentale, ossia il ‘piano di execution’ preparato dallo startupper. Non bisogna dimenticare, infatti, che la capacità imprenditoriale è (e rimane) della startup, non può essere delegata al venture capitalist. Ma qual è la logica in base alla quale vengono scelte le startup, e dunque i progetti, su cui investire? In altre parole, come fa la startup a farsi baciare dall fortuna e ottenere i tanto agognati finanziameni del venture capital? Purtroppo non esistono criteri scientifici, il grosso della partita lo si gioca sul campo dell’interazione diretta tra lo startupper e il venture capitalist. Ma alcuni consigli si possono seguire. Il primo e più importante è partire dal problema. La startup deve presentare un progetto in cui propone la soluzione concreta a un problema esistente, ossia il metodo che può semplificare, accelerare la realizzazione di determinati processi. Il secondo consiglio è evitare di impuntarsi sulla questione degli ‘accordi confidenziali’: se un’idea si smonta per il solo fatto che viene raccontata, vuol dire che non era così forte. Terzo, ammettere che si è ‘alla caccia’ di soldi: trincerarsi dietro la scusa dell’essere alla semplice ricerca di occasioni di networking è semplicemente ipocrita. Inoltre, anche i venture capitalist sono alla ricerca di denaro, da realizzare attraverso gli investimenti sulle startup. Quarto consiglio, essere in grado di fare delle valutazioni di tipo ‘culturale’ sulla natura del venture capitalist cui ci si rivolge: se si ha a che fare con un fondo che gestisce milioni di euro, è difficile ottenere micro-finanziamenti di poche migliaia di euro, perché è improbabile che il fondo proceda a una tale parcellizzazione del capitale da investire. Tuttavia, quando parliano di venture capital, dobbiamo anche tener presente che il nostro Paese sconta un grossa arretratezza: le risorse ci sono, ma sono poche e insufficienti a coprire la quantità di progetti validi su cui si potrebbe investire. “Per intenderci – spiega Enrico Gasperini (in foto), presidente di quell’incubatore di iniziative online che risponde al nome di Digital Magics – noi riceviamo una media di 100 buone proposte al mese, ma abbiamo le risorse per abbracciarne circa 10 all’anno”. Fondata nel 2004 da Gasperini, Digital Magics ha investito, ad oggi, circa cinque milioni di euro di capitale dei soci, a cui si aggiungono circa cinque milioni di euro derivanti dagli exit, creando 30 nuove aziende e più di 300 posti di lavoro. Inoltre, dal 2008 Digital Magics opera come venture incubator privato, focalizzando la sua attività sullo startup di modelli di business dinamici e innovativi, gestendone la ‘seed stage’, ossia la prima fase di creazione della nuova azienda, inclusi i primi test verso i consumatori e il successivo periodo di maturazione, accompagnando le imprese nelle fasi successive di finanziamento e di crescita. Concludiamo infine con una sguardo su Iubenda, la startup guidata dal 23enne Andrea Giannangelo, che ha vinto il premio startup Nicola Silvestri, dedicato ai progetti che hanno realizzato “la migliore idea di business legata al mercato dell’advertising online”, ed intitolato a uno dei pionieri del web italiano, prematuramente scomparso, a 52 anni. La giuria, composta da venture capitalist, esperti e rappresentanti del board di Iab Italia, ha premiato il giovane Giannangelo, il quale, grazie anche ai 70mila euro ricevuti da Dpixel, Andrea Di Camillo e Marco Magnacavallo, è riuscito a mettere in piedi un generatore di privacy policy, che ambisce a crescere per affermarsi in tutto il settore del legal-web.