Nova.ilsole24ore.com – 1 febbraio 2015
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Come educare il banner
La pubblicità su cellulare cresce molto, anche in Italia, ma ha successo solo se “educataâ€: se non disturba l’attività dell’utente e si mescola bene nel contesto. A volte anche troppo bene: al punto da rischiare di risultare ingannevole per gli utenti. Convergono su queste evidenze i dati degli analisti e l’esperienza degli addetti ai lavori: si stanno affermando formati pubblicitari pensati appositamente per gli utenti mobili, secondo il paradigma del “native advertisingâ€. Lo dicono per esempio i dati che eMarketer ha fornito a Nova24, con i risultati consolidati 2014: la spesa pubblicitaria mobile (tablet e smartphone) è stata di 371 milioni di dollari in Italia (una crescita dell’80 per cento sul 2013), contro i 448 della Francia (su un altro pianeta il Regno Unito, con 2,8 miliardi, e la Germania, con 1,3 miliardi). Nel mondo siamo arrivati a 40,199 miliardi. Un grande salto sui 18,943 miliardi del 2013. L’osservatorio americano eMarketer ha analizzato anche i formati più efficaci, su cellulare (in base al parametro del click through rate) e sono risultati vincitori quelli che si amalgamano meno con quanto l’utente stava facendo o voleva fare. Prevale insomma la pubblicità “educataâ€: “polite†scrive lo stesso eMarketer, che fa anche alcuni esempi di formati efficaci. I post sponsorizzati di Facebook sono l’esempio principe (un po’ meno efficaci quelli di Twitter): social, personalizzati, contestuali. Vanno bene anche i video che con discrezione entrano nei contenuti della pagina. Il loro click through rate è maggiore- stima eMarketer- rispetto ai video “expandableâ€, che si espandono con invadenza sullo schermo. Per l’esattezza, secondo eMarketer la pubblicità mobile più efficace è quella “location basedâ€, che ti segnala per esempio che c’è un negozio vicino a te dove comprare quell’oggetto su cui stai facendo ricerche su cellulare in quel momento. Ma in Italia è ancora poco presente. In generale, “vediamo che il formato che è diventato dominante su cellulare è quello “native†(nativo), cioè che si sposa con il contestoâ€, dice Alessandro Coppo, general manager di Kijii, la piattaforma di annunci di Yahoo!. Native è una filosofia che comprende tante cose: dal post sponsorizzato di Facebook (testo o video) all’annuncio degli sponsor di Kijii (che è affine alla ricerca fatta dall’utente, un po’ come avviene su Google con i link sponsorizzati). “C’è anche l’esempio dello speaky banner, un formato che rimane fermo in fondo alla pagina. Permette all’utente di focalizzarsi sui contenuti scelti. Non dà fastidio, non ostacola la lettura. Una volta che l’utente ha finito, può anche decidere di fare attenzione al banner e cliccarciâ€, aggiunge Coppo.
Educazione è ancora una volta la parola d’ordine. “L’idea di fondo è che la pubblicità mobile deve essere pensata in modo specifico per questi dispositivi. Un cellulare è più personale di un computer, quindi gli utenti gradiscono meno le intrusioni pubblicitariâ€, conferma Gabriele Ronchini, fondatore di Digital Magics e amministratore delegato di 4w Marketplace, uno dei principali advertising network per il digitale. “Tra i nuovi formati native ci sono i video muti nella pagina, che si attivano solo se ci passi il mouse sopra (ormai popolari su Facebook). E i recommendations widget, che ti dicono: visto che ti piace questo potrebbe piacerti quest’altroâ€, aggiunge. Secondo eMarketer, il native advertising è cresciuto del 34 per cento nel 2014, a 4,3 miliardi di dollari e sarà a 8,8 miliardi nel 2018. I problemi, sulla strada delle affascinanti “sorti progressive†del native, sono due. Il primo è che alcuni grossi sponsor lo accusano di essere un formato poco scalabile e che richiede quindi investimenti separati per ciascuna delle piattaforme in cui utilizzarlo. E’ il rovescio della medaglia di dover amalgamare bene la pubblicità con i diversi contesti. I contesti cambiano e così deve cambiare anche la pubblicità . Ma i costi aumentano in proporzione, laddove invece un banner lo puoi spalmare uguale un po’ ovunque.
Il secondo aspetto è più sottile e controverso. Molti utenti hanno difficoltà a riconoscere una pubblicità nativa, tanto si è amalgamata (mimetizzata) bene con il contesto. Lo dicono due studi nel 2014, di Iab e di Contently, con ben il 50-60 per cento degli utenti che sono risultati incapaci di distinguere articoli native da articoli di notizie normali. E due terzi di loro (secondo Contently) si è sentito “ingannato†quando ha scoperto di aver letto un native. Insomma, il rischio è che ci sia una mina vagante, nel successo del native, che potrebbe esplodere non appena gli utenti diventeranno bravi a distinguerla dai contenuti non sponsorizzati. Sempre che le aziende e i pubblicitari non trovino una nuova via: un modo per non disturbare senza ingannare gli utenti. Sarà la sfida dei prossimi anni, per la pubblicità mobile. E non solo per questa.