Capital – I nuovi capitali di ventura

Capital – 1 giugno 2015

I nuovi capitali di ventura

Gli investimenti in nuove aziende dei settori avanzati crescono in Italia più che altrove (+208%). Nuove società danno la caccia a neoimprese con il potenziale di crescita più elevato. Ecco alcuni signori del rischio. E dove mettono i soldi.

Alla ricerca del Mark Zuckerberg italiano: forse non sarà facile trovare il signor Facebook, ma tra Roma e Milano c’è chi si è messo in testa di provare. I venture capitalist sono investitori che decidono di finanziare imprese allo stato iniziale, alle quali mettono a disposizione capitale di rischio. Senza ancora arrivare ai livelli di Regno Unito e Germania (rispettivamente 1,6 miliardi di dollari e 1,28 miliardi di dollari di investimenti nel 2014), l’Italia in termini di capitali investiti l’anno scorso è arrivata a 47 milioni, appena il 3% del Regno Unito, però è il paese con il più alto tasso di crescita (+208%) a livello europeo. Negli ultimi due anni sono nate nuove società che si cimentano con l’early stage del settore dell’economia con il potenziale di crescita più elevato: quello legato a internet e alla tecnologia. L’unico venture capital quotato sul mercato principale di Piazza Affari si chiama LVenture group ed è stato fondato da Luigi Capello, che ne è ad. La holding di partecipazioni investe nell’early stage di fast growing company che operano nelle tecnologie digitali. «Il momento è ottimo per investire, le nostre start-up costano poco e c’è un credito d’imposta del 19%, che si deduce immediatamente dalle tasse», dice Capello. «Finanziamo nuove società entrando con una quota iniziale del 10% e per un massimo di 60mila euro. Possiamo salire per gradi attraverso aumenti di capitale fino a 250mila e ci aspettiamo l’exit a cinque anni». Il portafoglio di LVenture è composto da 33 start up per un investimento diretto di circa 3,7 milioni e ha un’anzianità media di 2 anni e mezzo. «Oggi le start-up cominciano a fatturare. Viene generata sostanza economica». LVenture investe principalmente, ma non esclusivamente, nelle start-up del Programma di accelerazione di Luiss Enlabs. Digital Magics è sbarcata sull’Aim Italia, il mercato alternativo dei capitali di Borsa italiana, nel 2013, fornendo investimenti e servizi. «È nata con l’idea di costruire una piattaforma di incubazione e di accelerazione per imprese che operano nell’online, uno dei segmenti di maggiore crescita potenziale dell’Italia», precisa l’ad Enrico Gasperini. «Il paese è indietro, ma i tassi di crescita sono a due cifre. Finora abbiamo investito oltre 16 milioni e raggiunto i primi 50 investimenti; abbiamo lanciato un piano industriale per arrivare a 100 imprese. L’investimento diretto medio è di 300mila euro, in ambito seed. Per l’exit non ci poniamo una data, contiamo di uscire quando matura l’azienda». C’è poi United Ventures, nata nel 2013 dall’unione di Annapurna Ventures e Jupiter Venture Capital. «Abbiamo raccolto adesioni da una ventina di investitori, principalmente banche, fondazioni e fondi internazionali», spiega Paolo Gesess, uno dei due fondatori (l’altro è Massimiliano Magrini, ex ad di Google Italia). «Finanziamo aziende tecnologiche, che abbiano un grosso potenziale di crescita basato sugli sviluppi hi-tech e bisogno di fondi per lo sviluppo internazionale. Oggi il portafoglio è costituito da una decina di società, con un investimento medio di 2 milioni. Ci posizioniamo dopo la fase seed, vogliamo entrare al giorno due, quando le società hanno mostrato un’attraction. La exit è a 5-7 anni». Se senza il capital si può fare poco venture, per fortuna il capitale si sta muovendo. «Negli ultimi tre anni», racconta Gesess, «anche grazie ad alcune attività governative, il venture capital in Italia è partito. Gli investitori internazionali ci guardano con meno scetticismo e i nostri investitori istituzionali si sono finalmente mossi».

Per farsi scegliere dai venture capitalist «Stay hungry, stay foolish», restate affamati, restate folli, disse Steve Jobs: significa non perdere la voglia di imparare, la curiosità, l’ambizione, non smettere di essere ribelli e di fare scelte non convenzionali. «E noi vogliamo vedere negli occhi il team per capire se hanno il fuoco dentro»: questa è la prima caratteristica che Luigi Capello, di LVenture, cerca prima di decidere di investire in una start-up. E poi «team completo ed eterogeneo, prodotto solido e innovativo, mercato ampio e scalabile: questi i tre criteri per ammetterle al programma di accelerazione gestito da Luiss Enlabs – La Fabbrica delle star-tup». Elementi fondamentali anche per Enrico Gasperini di Digital Magics, venture incubator che fonda e costruisce internet start-up investendo capitale proprio. «Il criterio di scelta più importante è la qualità del team», dice Gasperini, «considerando anche l’originalità e la sostenibilità della crescita del progetto nel mercato interno».

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