L’indro – 13 ottobre 2015
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All’Internet Festival di Pisa
Il libro bianco del digitale
Intervista a Enrico Gasperini, Presidente di Digital Magics, che ci spiega le proposte del White Paper
Dall’innovazione digitale provengono grandi input allo sviluppo, ma per poterne approfittare servono politiche mirate alla valorizzazione dei talenti e delle idee. Ne sono convinti a Digital Magics, incubatrice certificata di start up innovative che ha appena ideato un documento contenente una proposta al Governo italiano per favorire un ecosistema compatibile con la nascita e la crescita di nuove imprese di questo tipo. Il ‘White Paper‘, questo il nome del testo, è stato presentato al pubblico nel corso dell’ultimo Internet Festival, tenutosi a Pisa dall’8 all’11 ottobre scorso e intitolato ‘Forme di futuro’. A spiegarci i dettagli del ‘libro bianco’ è Enrico Gasperini, fondatore e Presidente di Digital Magics, il quale a Pisa è intervenuto insieme a Layla Pavone all’interno di un panel di discussione che ha coinvolto tra gli altri anche Paolo Barberis, consigliere per l’innovazione del Presidente del Consiglio, Vincenza Bruno Bossio, membro della Commissione Trasporti e Telecomunicazioni e Intergruppo parlamentare per l’Innovazione, Marco Gay, Presidente Confindustria Giovani e Marco Bicocchi Pichi, Presidente di Italia Startup, moderati da Luca De Biase, Direttore di ‘Nova24 – Il Sole 24 Ore‘.
Dal crowdfunding alle agevolazioni fiscali, passando per l’internazionalizzazione, gli elementi necessari a svecchiare il sistema italiano secondo il documento sono molti. Digital Magics, società attiva dal 2008 come incubatrice d’impresa e quotata su Aim Italia, mercato alternativo del capitale dedicato alle piccole e medie imprese gestito da Borsa Italiana, lo ha redatto assieme ad alcuni dei suoi partner (Cattaneo Zanetto & Co., Dla Piper, Electa Group, Intermonte, Sec – Relazioni pubbliche e istituzionali, Integrae Sim, Talent Garden, Tamburi Investment Partners e il Digital Champion Napoli, Giovanni De Caro).
Perché c’era bisogno di una proposta come questa?
L’abbiamo realizzata essenzialmente per tre motivi. Innanzitutto perché nel corso di questi anni abbiamo lavorato e costruito quello che è probabilmente l’hub di accelerazione e innovazione più diffuso nel Paese: abbiamo quindi accumulato un’esperienza tale da consentirci di costituire, insieme ai nostri partner, un osservatorio privilegiato sul fenomeno, di cui siamo parte ma che al contempo riusciamo a vedere in tutte le sue componenti. In secondo luogo, perché riteniamo che la situazione italiana sia di vera emergenza: dopo le prime leggi riguardanti il settore non è più accaduto nulla e ora c’è il rischio di rimanere indietro rispetto ad altri Paesi. Infine, l’ultima ragione che ci ha spinto a creare il White Paper è che non lo stava facendo nessun altro, perciò a un certo punto abbiamo deciso di farci avanti.
È vero che in fatto di innovazione l’Italia è il fanalino di coda d’Europa?
Per quel che riguarda i capitali di rischio, in tutto il Paese sulle società tecnologiche vengono investiti poco più di 100 milioni, che rispetto a quanto investito in Europa (senza parlare dei 40 miliardi della Silicon Valley) sono veramente noccioline. Eppure da noi ci sono tante aziende che potrebbero diventare grandi. A rendere la situazione ancor più critica ci sono anche i ritardi nella formazione, nella digitalizzazione delle nostre imprese e il basso tenore di investimenti in ricerca e sviluppo. Si tratta di elementi che, sommati l’uno all’altro, risultano preoccupanti.
Uno dei punti chiave del White Paper è quello sulle agevolazioni fiscali: si parla, infatti, di applicare anche in Italia quanto previsto dal modello anglosassone, portando il credito d’imposta IRPEF dal 19% fino al 30-40% per gli investimenti in start up innovative, nonché di estendere al 30% la deducibilità dell’imposta sul reddito delle società .
In pratica occorre utilizzare, come già accade in altri Paesi, la leva dei benefici fiscali in termini di credito d’imposta, e non tanto i contributi dello Stato a fondo perduto. Recentemente, qualcosa in tal senso è stato fatto: al momento c’è circa un 20% di credito per i privati e per le aziende su questo settore, ma è ancora troppo poco rispetto alle politiche più coraggiose attuate fuori dall’Italia. Nel White Paper abbiamo proposto un 40%, che è una percentuale ragionevole con cui si intende tenere conto delle nostre difficoltà di bilancio. Anche se, per non essere più il cosiddetto fanalino di coda, dovremmo arrivare a essere ancora più audaci.
Il documento contempla anche il crowdfunding. Che ruolo potrebbe avere nel supporto all’innovazione?
Si tratta di una delle strade percorribili dalle start up: nel nostro Paese ci sono tanti risparmi e liquidità importanti a livello privato che potrebbero in parte essere utilizzate sul modello degli ‘angels’ (i cosiddetti investitori informali) anche in questo settore. Ma la legge oggi prevede finanziamenti con soglie molto timide, implica molte complessità burocratiche e, soprattutto, ci sono difficoltà , derivanti dalla direttiva Mifid, per qualificare gli investitori. Proponiamo dunque di rendere più semplice la profilazione Mifid, rivedendo un po’ le soglie. Sarebbe un modo per allargare la platea dei cosiddetti investitori professionali e, al contempo, per togliere vincoli agli investitori privati, come quello della sottoscrizione da parte delle banche del 5%. Si tratta insomma di rendere più liquido un sistema che non sta funzionando, perché la raccolta sulle tante piattaforme di crowdfunding a oggi è ancora sostanzialmente nulla.
Quali invece i limiti normativi a investire per gli ‘Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio’?
In questo caso ci sono limiti normativi e in parte derivati dalla prassi: esiste anche una sorta di persuasione morale, legata al sacro scopo di proteggere gli investitori che poi, di fatto, si trovano obbligati a rivolgersi a titoli quotati e con forte liquidità . Ma ne soffre tutto il mercato delle piccole e medie imprese (ad esempio l’Aim), per non parlare dell’impossibilità di investire anche solo una piccola quota dei propri soldi in società non quotate o start up. Ecco, l’insieme di questi limiti andrebbe rivisto, e bisognerebbe che i benefici fiscali in questo tipo di investimenti (sia come deducibilità che come abbassamento della tassa sulle plusvalenze) fossero estesi all’OICR e ai fondi aperti. Riteniamo che armonizzando le normative potrebbero esserci maggiori risorse.
Il White Paper propone anche di armonizzare gli strumenti di finanziamento regionale: in che modo?
Finora in Italia si è agito a livello governativo su due fronti. Da una parte si è assegnato a ‘Cassa depositi e prestiti’ il compito di fare da miccia, favorendo raccolte di venture capital. Dall’altra, le Regioni hanno tutte inaugurato, con la legge sulle start up innovative, una politica di supporto, prevedendo sovvenzioni a queste società . Inoltre, è stato consentito l’accesso al Mediocredito centrale, cioè al debito garantito per le PMI. Questi provvedimenti, però, vanno in una direzione che non è esattamente allineata a quanto accade in altre parti del mondo, perché agiscono sostanzialmente sul debito e sulla costituzione di grandi fondi che stentano a decollare. In realtà , come sottolineato nel White Paper, altrove viene favorita una politica di matching, per la quale le Regioni e lo Stato giungono a duplicare gli investimenti dei privati. In tal modo si ottengono molti vantaggi, tra cui una maggiore velocità d’azione e la capacità di evitare gli investimenti a pioggia, concentrandoli invece sulle società meritevoli. Da noi qualcuno ha iniziato ad applicare con successo questo modello (come Lazio, Basilicata e Liguria), e l’idea è dunque concertare una politica complessiva di sistema, affinché le Regioni si accordino su strumenti comuni, in modo da sfruttare maggiormente anche le risorse dell’Unione europea.
Perché è così importante sostenere l’economia digitale?
In Italia ci sono oltre 150mila imprese del settore tecnologico, di cui 5mila start up innovative. Quello dell’economia digitale è un piccolo contributo al PIL (si parla del 2 o 3%, mentre nel Nord Europa si sfiora il 10%), ma il suo sviluppo è ritenuto a livello internazionale uno dei maggiori fattori di crescita e occupazione: negli USA, il 20% della capitalizzazione del mercato di Wall Street è fatto da società tecnologiche. Lo dimostrano anche alcuni studi, dove si afferma che per ogni nuovo posto di lavoro nel settore della tecnologia ne nascono altri cinque nell’indotto. Vi sono ricerche secondo cui in Europa mancano circa 1 milione di figure professionali specifiche e in Italia 100mila. Se sviluppata ulteriormente, l’economia digitale potrebbe contribuire alla crescita dell’occupazione e del PIL. Le start up di oggi, infine, non fanno che confermare la vocazione italiana all’imprenditorialità . Ora ci sono più possibilità di sviluppo nel digitale, certo. Ma tutto il Made in Italy è fatto da imprenditori, siamo il Paese delle partite IVA e delle imprese.
Tra i tanti, quali i progetti di maggior successo nati all’interno di Digital Magics?
Durante questi sette anni alcune aziende sono diventate grandi: 4W Market Place sta traguardando la quotazione azionaria, ma c’è anche TripItaly, il primo operatore italiano nel commercio del turismo dopo giganti quali Booking, oppure Prestiamoci, leader nei prestiti tra privati. Talent Garden è leader europeo nel mercato del coworking, ma ce ne sarebbero molti altri. Alcune società sono partite da zero e ora fatturano tra i 5 e i 10 milioni di euro: possiamo dire di aver dato un bel contributo al Made in Italy digitale.
Tra chi inizia c’è di tutto: tanti i giovani tra i 25 e i 30 anni, ma anche persone di età più matura o over 60. Finora abbiamo incubato oltre 60 progetti e pensiamo di poter arrivare velocemente a quota 100. Seguiamo intensamente le imprese soprattutto nel loro primo anno di vita, ma i nostri programmi di accelerazione durano più a lungo: accompagniamo le realtà di cui siamo cofondatori dalla nascita dell’idea fino alla quotazione in Borsa.
Quali ritiene siano i campi in espansione nel digitale?
Uno è sicuramente quello, straordinario, legato all’integrazione digitale del Made in Italy e a settori come turismo, cibo o moda. Ma anche quelli della finanza e della salute, per non parlare del mondo di ciò che si chiama ‘internet of things’ e della ‘domotica’.