Yahoo! Finanza Italia – 26 settembre 2012
Come nasce una startup: dall’idea al mercato
di Maria Rosaria Iovinella
Il futuro passa da innovazione digitale e creazione di imprese: Enrico Gasperini di Digital Magics spiega come
Non siamo ancora una start up nation, ma è meglio cominciare a svoltare, tanto più in una fase dove il ritardo sull’innovazionefinisce per ridimensionare anche l’opportunità di uscire dalla crisi e creare lavoro. Il futuro, insomma, in Italia passa dalle idee innovative a patto però di coniugarle con l’imprenditorialità . Ecco perché, alcune realtà vincenti nell’ambito delle start up tricolori, nascono laddove il guizzo incontra anche un’ordinata pianificazione dei tempi di sviluppo e di debutto sul mercato, in un Paese dove, mancando a volte l’incentivo statale, c’è chi fa da sé e chi cerca invece di entrare in un network per crescere e capire come giocare al meglio le sue carte.
Yahoo! Finanza ha intervistato per capire come nasce una start up, e quali sono le vie possibile in cui far evolvere un progetto, Enrico Gasperini, creatore di Digital Magics, un private venture incubator nato nel 2004 che sviluppa e finanzia iniziative digitali con l’apporto di partner industriali e finanziari. Le start up del network sono specializzate nella produzione e distribuzione di contenuti interattivi, formati originali e advertising per le piattaforme digitali. Facciamo qualche nome: sono nate all’interno di Digital Magics, Growish, Goods Games, SingRing, Jumpin, Wazzap. Gasperini è startupper a sua volta: nel 1988 ha fondato Inferentia, la prima new media agency in Italia, specializzata nell’offerta di servizi di marketing e comunicazione per l’online advertising, e l’ha portata alla quotazione in Borsa nel 2000. Chi meglio di lui per qualche consiglio per futuri imprenditori e sviluppatori?
Chi pensa di creare una start up cerca sempre l’idea del millennio, guardando a un mondo globale. E’ un atteggiamento giusto o si crea meglio guardando al quotidiano?
“Non credo che la chiave sia avere l’idea del secolo , ma è giusto avere un sogno: basti pensare a quello che hanno fatto molti nostri imprenditori che esportano cose bellissime. Ma si può avere successo anche nell’ambito del nostro mercato, per quanto il nostro Paese sia in crisi siamo una delle principali economie del mondo. In Italia occorre fare una svolta digitale molto importante, e per questo si apriranno una quantità di opportunità straordinarie nel nostro mercato che vanno dall’e-commerce ai servizi per le imprese e la pubblica amministrazione. In ciascuno di questi settori occorrerà essere originali, credere nel proprio progetto, portarlo avanti con tenacia, non pensare che si faccia tutto in pochi mesi e crederci; sono più o meno le stesse ricette che i nostri imprenditori usano da anni in altri ambiti. Facendo lo stesso lavoro anche in ambito digitale, nasceranno centinaia e migliaia di nuove aziende di successo”.
In che modo un’idea, o un progetto di business, incontra una realtà come quella di un incubatore?
“Gli incubatori sono realtà che consentono di accelerare il processo che va dalla costruzione di una business idea da parte di un gruppo di giovani neoimprenditori fino alla sua realizzazione. Processi che diversamente durerebbero anni. Il nostro incubatore in particolare ha due funzioni, sia quello di accelerare il progetto sia di finanziarlo nella prima fase. Ogni progetto che portiamo in grembo comporta da parte nostra la scelta di operare a livello finanziario nella fase embrionale. L’insieme di queste due attività permette ai neoimprenditori di poter operare nel primo anno di vita in maniera autonoma per poi presentarsi successivamente nel mercato dei fondi. Incubiamo al massimo dieci iniziative ogni anno. Ci sono invece aziende che hanno una maggiore maturità e si presentano al mercato già ben strutturate, con dei primi investimenti magari fatti anche in ambito familiare o di angel capital (tipologia di investimenti nel capitale di rischio di imprese da parte di liberi professionisti in maniera informale, contrapposto agli investimenti come i fondi chiusi, come quelli di venture capital e private equity), e possono sì rincorrere la chance di farsi incubare ma magari sono già mature per affacciarsi al mercato dei capitali in maniera diretta”.
Quali sono gli errori comuni e le ingenuità di chi vuole creare una start up?
“Normalmente i ragazzi giovani hanno idee straordinarie, ma difettano di esperienza di mercato, non conoscono a fondo i processi che regolano le varie filiere, che siano quelle della pubblicità o piuttosto la vendita dei beni di servizio. Ignorano quali siano i percorsi con cui si creano quei meccanismi di promozione per far decollare velocemente un nuovo brand. Io sono un ex startupper, ho fatto le mie start up negli anni ‘90 e le ho portate in borsa nel 2000. La nostra esperienza serve proprio a questo, mettere insieme la conoscenza, l’esperienza, con l’originalità . La gran parte degli errori deriva da mancanza di esperienza nel mondo dell’economia reale, e questo è il difetto maggiore della gran parte dei piani”.
Cos’altro?
“Un altro limite, che divide il mondo di chi ha un’idea da quello degli operatori finanziari, è che spesso il secondo pretende la conoscenza di meccaniche, di terminologie astruse che riguardano principalmente aree di natura finanziaria. Chi crea fa fatica a capirsi col mondo dei fondi, con chi investe. Tuttavia, non si può pretendere che degli sviluppatori bravissimi conoscano temi di natura strettamente finanziaria, o di impresa, o gestionali. Non è possibile pensare che un ragazzo di 30 anni sia completo da tutti i punti di vista”.
Può esserci sinergia tra start up o tra gli stessi incubatori?
“Le sinergie, anche in un incubatore, ci sono ma devono essere sfruttate in maniera libera, nel senso che le aziende rimangono comunque indipendenti una dall’altra e così devono trovare un ambito di mercato. Certo è che il network complessivo, che è fatto di relazioni cruciali coi clienti, di rapporti con le università , con le istituzioni, con la comunità finanziaria, costituisce un brodo primordiale che fa di un incubatore un ambiente molto privilegiato, riducendo la mortalità di aziende rispetto a chi ci prova in maniera autonoma”.
Che panorama vede in Italia nell’ambito della nascita di un ecosistema digitale e quali sono le scelte da compiere a livello legislativo?
“Il fatto più macroscopico è l’assenza di risorse, sia da parte dei fondi di investimento che di strutture più complesse. Ovviamente il supporto bancario non c’è più; anche da parte dei grandi operatori, nell’ambito dei venture capital, non si sono mosse delle risorse importanti per fare innovazione. Voglio però dire che il nostro non è un Paese dove non si sia investito in incentivi alle imprese o nel potenziamento di centri di ricerca, statali anche, ma gli investimenti sono rimasti scollegati tra loro, o sono nate cattedrali nel deserto. Più che le risorse nel nostro Paese è mancata un’organizzazione di buone risorse destinate a un modello efficace e virtuoso di crescita. Nel prossimo periodo, gradualmente, si potrà passare dalle parole ai fatti cominciando da alcuni dei provvedimenti necessari, di natura fiscale o quelli che vanno nella direzione della costruzione di fondi che aiutino la crescita armonica di altri fondi raccolti anche privatamente. Le condizioni ci sono anche perché, nella fase attuale, ci siamo costretti”.