Nòva de Il Sole 24 Ore – Chi si candida a far crescere le idee

Nòva de Il Sole 24 Ore – 7 ottobre 2012

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ACCELERATORI

Chi si candida a far crescere le idee

L’incubatore segue e accompagna i primi passi dei nuovi imprenditori: in Italia ce ne sono diversi e operano da tempo, ora diventano certificati

di Giuditta Mosca

La certificazione degli incubatori è uno delle novità più interessanti del decreto presentato giovedì anche perché oltre a razionalizzare avrà il merito di rendere ancora più visibile un ecosistema che in Italia c’è già da tempo. Gli incubatori sono aziende che fanno un’attenta analisi tra le idee imprenditoriali giudicate potenzialmente redditizie ma ancora lontane dal poter godere di un finanziamento utile alla loro realizzazione. Ed è un lavoro da certosino, non solo perché la reale bontà di un’idea risulterà solo al termine di una serie di indagini sulla fattibilità tecnica, finanziaria ed economica, ma anche perché le idee che superano le selezioni sono molto poche rispetto a quelle che vi partecipano. Gli incubatori sono formati da manager con skill elevate in ambito di marketing, strategia d’impresa, finanza, contabilità e controlling. Superate le selezioni, per definizione durissime, l’incubatore si occupa di dare all’azienda la giusta spinta per accelerarne la crescita il più possibile. Efficacia e velocità sembrano operatori essenziali di quella variabile che dovrebbe portare all’alta redditività. L’idea di business viene quindi confezionata e diventa un’impresa pronta per incontrare il favore dei finanziatori. L’Italia è territorio discretamente fertile e annovera un consistente numero di incubatori i quali, come in ogni altro mercato, si concentrano su segmenti specifici. Al TechCrunch di Roma hanno preso la parola alcuni volti noti provenienti dal mondo degli incubatori, è il caso di Luigi Capello di Enlabs che – conciso – ha sottolineato che «agli startupper va insegnato che il cash è la chiave». Dello stesso parere Enrico Gasperini di Digital Magics che però puntualizza: «In Italia c’è una forte tradizione di innovazione e talento ma non di raccolta del capitale. Il venture capital, in crescita, non è ancora a livelli di altri Paesi; in Italia ci sono investimenti pari a 3 dollari pro-capite, la media europea è di 7 dollari che diventano più di 100 negli Usa e in Israele». L’Head of Innovation Vincenzo Scarlato (Xone Vodafone) arriva al sodo: «L’incubatore Xone inizia dall’Italia per poi essere portato all’estero, perché qui c’è una grossa opportunità e, se ci pensate, non trovate molte case history di successo. Ce ne sono diverse ma non ci sono grossi numeri, per questo vogliamo aiutare le startup italiane a crescere». Alcuni degli incubatori italiani: I3P è l’incubatore per eccellenza nel mondo universitario. In tredici anni ha avviato 140 aziende nei settori dell’it, dell’elettronica, dell’energia e della meccanica. All’incubatore universitario di Torino risponde quello del Politecnico di Milano: durante il mese di gennaio del 2012 erano 19 le aziende in incubazione e dal 2000, anno in cui è stato fondato, ha dato corpo a 64 imprese. TechNest, incubatore dell’Università della Calabria ospita fino a 20 imprese alle quali mette a disposizione una nutrita quantità di servizi specialistici. Non sono i soli incubatori universitari in Italia ma, nell’impossibilità di citarli tutti, va sottolineato che il modello di incubazione negli atenei è frequente soprattutto negli Usa dove se ne contano circa 350. H-Farm, con sede principale a Roncade, in provincia di Treviso, ha altri tre uffici a Seattle, a Londra e a Mombai. Sempre nell’ambito Itc va segnalato We Tech Off di Bologna: dal 2008 segue idee imprenditoriali ad alto tasso tecnologico anche allo scopo di migliorare la competitività sul territorio regionale. Innovami, attiva dal 2005 a Imola si prefigge lo scopo di coadiuvare i rapporti tra ricerca e impresa. Migliorare l’efficacia dei processi (gestionali e produttivi) è ciò di cui l’Italia ha un gran bisogno. Fa parte della rete “EmiliaRomagna Startup”. Anche il Polo Tecnologico di Navacchio, che si occupa soprattutto di terziario avanzato, condivide l’integrazione tra ricerca e Pmi permettendo loro di entrare in network dal raggio che si espande su tutto il territorio Eu. La cooperazione tra ricerca, università e azienda ha permesso di prestare ai mercati imprese di successo. Enlabs, invece si trova a Roma, ha dei programmi di incubazione variegati e punta tutto sull’unicità delle idee e predilige il coworking, mettendo a disposizione degli imprenditori spazi adeguatamente attrezzati. Sono molteplici le storie di successo, così come è fibrillante l’agenda delle attività e degli incontri proposti. Chiaramente non c’è solo l’Italia tecnologica: Area Science Park è un consorzio triestino attivo su molteplici campi dalle scienze della vita al biotech. Fondazione Filare prevalentemente si occupa di startup attive nel biomedicale. Nonostante vi sia un numero cospicuo e sempre crescente di incubatori in Italia, la sensazione è quella che ci sia ancora tanta strada da fare perché è fuori dubbio che l’Italia meriti un ruolo di tutto rispetto nella concezione di idee innovative. Attirare incubatori e investitori è un compito che va concertato tra i neo (capacissimi) imprenditori e il Governo. Sarebbe uno smacco per tutti se i nuovi talent scout approdassero da noi senza una politica adeguata, attirati dalle idee degli italiani e non dalle misure adottate a loro favore.

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