Job24.ilsole24ore.com – 18 giugno 2014
Ricerche – Si fa presto a dire «startup»: l’uso (e l’abuso) di una parola emergente sulla stampa italiana
di Alessandra Dal Monte
Recente, un po’ ostica e, nonostante le apparenze, ancora poco usata. Queste sono le caratteristiche della parola «startup» in Italia. Il termine ha cominciato a imporsi sui giornali generalisti nostrani solo tre anni fa. Prima del 2011 le apparizioni erano molto poche: a parte un picco attorno al 2000, anno di grandi speranze per la «new economy» digitale, tra il 1992 e il 1999 e tra il 2001 e il 2010 questa parola non si è letta spesso sui quotidiani nazionali. A rivelarlo è la ricerca sulla frequenza dell’espressione «startup» condotta dalla società di tecnologia semantica Expert System in collaborazione con l’incubatore Digital Magics. L’analisi, realizzata con il software di ricerca semantica Cogito, ha riguardato un milione e 880 mila articoli usciti su due testate generaliste della carta stampata tra il 1992 e il 2014. Il campione è stato limitato in questo modo proprio per misurare la penetrazione del termine «startup» nella stampa non tecnica e a grande tiratura, scelta come parametro per capire la diffusione della parola presso l’opinione pubblica. Dallo studio emerge che in Italia i giornali hanno cominciato ad adottare questo termine da quando l’uso della rete si è diffuso in modo capillare attraverso gli smartphone, i tablet e le app, cioè dal 2010 in poi, innescando così un collegamento di significato tra la parola «startup» e il mondo del digitale. Un collegamento non obbligato, visto che in inglese l’espressione “startup” significa “avvio” o “decollo” e potrebbe essere applicata a tutti i campi. Ma di fatto la parola nel nostro Paese si è imposta con questa accezione già dal 2000, quando tutti scommettevano sul digitale in borsa e l’espressione startup si riferiva alle “matricole”, le aziende appena quotate. «In effetti prima dell’era di Internet in Italia c’è praticamente un vuoto – spiega Andrea Melegari, responsabile dell’Intelligence division di Expert System e uno degli autori della ricerca – Tra il 1992 e il 1998 la parola startup è stata trovata meno di 10 volte su circa 100 mila articoli analizzati per anno, nel 2000 ci sono state una cinquantina di occorrenze, poi il numero è calato di nuovo fino al 2010 mentre tra il 2011 e il 2014 la frequenza è salita a circa 400 occorrenze annue, per un totale di 1222 articoli in cui si parla di startup nell’arco di 22 anni». In sostanza, il termine è comparso in meno dello 0,1% degli articoli analizzati. E se si considerano gli ultimi tre anni, quelli del “boom”, comunque risulta che la parola startup è presente solo nello 0,5% degli articoli.  «Nonostante la grande crescita recente, che secondo le proiezioni continuerà , siamo ancora indietro nell’utilizzo di questo termine. Diciamo che “startup” è ancora una parola un po’ tecnica, che per esempio non è stata inserita in alcuni dizionari della lingua italiana», continua Melegari. Non è un caso che se si includono nel campione anche testate specialistiche la parola “startup” si trovi molto di più: una seconda parte della ricerca ha analizzato Corriere della Sera, Repubblica, La stampa, Il Sole24 ore, Italia Oggi, Mf, Corriere Economia, Affari e finanza, Nova 24, Milano finanza. Contando la ricorrenza delle parole “startup”, “incubatore” e “startupper” nell’arco degli ultimi 10 anni il risultato è questo: nel 2005 gli articoli in cui comparivano questi termini erano 922, nel 2014 ben 4.100 (stimati per fine anno), il 314% in più. Ma al di là dell’analisi quantitativa, secondo i ricercatori sono importanti anche le parole collegate al termine startup. Nelle due testate generaliste analizzate nell’arco dei 22 anni il termine “startup” si accompagna a verbi come “creare”, “realizzare”, “investire”, “fondare”, “sviluppare”: «La startup si associa all’universo della novità e della creazione, e quando si va a vedere il complemento oggetto, cioè che cosa si crea, si trovano espressioni come posti di lavoro, valore, sogno. L’universo semantico che circonda la parola startup, insomma, è molto positivo: guarda all’autorealizzazione e alla generazione di effetti virtuosi», spiega Melegari.  Però c’è un altro risvolto da tenere in considerazione: tutto questo non si può fare senza risorse economiche. Lo si percepisce guardando quali organizzazioni vengono più spesso citate accanto alla parola startup: le grandi aziende Google, Apple, Microsoft e Facebook, accompagnate da verbi come “lanciare”, “acquisire”, “comprare”. E poi compaiono Piazza Affari, banca Intesa, Carige, Unicredit, Banca d’Italia, segno che c’è sempre bisogno di un’organizzazione che elargisca fondi. Infine, osservando le persone più associate alla parola “startup”, compaiono sia imprenditori che politici: in prima posizione c’è Mark Zuckerberg, poi Barack Obama, Steve Jobs, Marissa Mayer (ad di Yahoo, una delle poche donne ai vertici del mondo della tecnologia), Larry Page di Google e poi a sorpresa in sesta posizione Silvio Berlusconi, che viene prima di Bill Gates (probabilmente a spingere in alto l’ex premier italiano è stata la sua decisione di creare un ministero per l’Innovazione, nel 2001). «Nel complesso, il riassunto della ricerca potrebbe essere questo – conclude Melegari – Fare startup conviene a tutti, perché come dimostra l’analisi semantica questa espressione è associata a concetti positivi», é la conclusione di Andrea Melegari.  Lasciando fuori dal campione moltissime testate e soprattutto tutti i siti web, generalisti e specialistici, però, questa ricerca non tiene conto di innumerevoli citazioni della parola “startup”. Se si riuscisse davvero ad analizzare tutte le ricorrenze si otterrebbe un numero stratosferico. E l’impressione non sarebbe affatto quella di una parola poco usata dai media italiani. Anzi. Ormai oggi qualsiasi nuova iniziativa viene definita “startup”, sia dai media sia da chi la crea: qualsiasi idea embrionale, azienda appena nata, progetto agli esordi. A prescindere dal fatto che abbia a che vedere con il mondo digitale o che abbia un contenuto innovativo. Da un lato questo uso disinvolto del termine è corretto, perché in inglese startup significa semplicemente “avvio”, come si diceva sopra. Dall’altro lato, però, si rischia di creare molta confusione in chi legge.