ESPANSIONE -Â gennaio/febbraio 2014
200 milioni per le startup
Arrivano incentivi per le giovani aziende innovative, non solo soldi ma anche burocrazia più snella. Ne parlano due incubatoli d’impresa
di Martino S. Duane
Fondamentale è l’uso, se non la creazione, di nuove tecnologie
Digital Magics
La caratteristica principale per essere considerate startup è l’introduzione, se non la creazione, di tecnologie innovative. L’unica forma giuridica ammessa è quella delle società  a capitale. Nel complesso delle startup iscritte solo il 3,5% impiega più di 10 lavoratori. La maggior parte di queste piccole imprese
tecnologiche si concentra lungo l’asse Torino-Milano-Bologna, ma la Campania con 83 imprese occupa la settima posizione mentre la Puglia con 72 imprese è in decima posizione. I dati riguardano un complesso di 550 startup, il 60% delle quali raggiunge i 100 mila euro di fatturato annuo. Dall’inizio dell’anno sono a disposizione anche altri contributi, sotto forma di credito di imposta per l’assunzione di personale altamente qualificato e per creare occupazione sono previste flessibilità nei contratti a tempo determinato e indeterminato, stock options e work for equità semplificati. Un insieme di provvedimenti che agevola anche i cosiddetti “incubatoli di impresa”. «Il termine tecnico è venture incubator, quindi un incubatore che fa anche investimenti di venture capitai nelle aziende che assiste», spiega Enrico Gasperini, fondatore e presidente di Digital Magics. «Per dirla in due parole è una specie di fabbrica di startup dove costruiamo le aziende insieme ai fondatori, agli imprenditori, e aiutiamo a svilupparle promuovendone la crescita per portarle ai traguardi successivi. Lavoriamo nel comparto digitale, quindi tutte le società  in genere producono software, o prodotti online, o comunque lavorano sulla rete, sul mercato digitale». «Abbiamo realizzato tutta una serie di servizi che servono per favorire la selezione, la crescita e lo sviluppo di questo tipo di imprese», prosegue Gasperini. «Le imprese sono startup, quindi nascono da noi insieme con gli imprenditori, oppure sono aziende un po’ più grandi che vengono per attuare programmi di incubazione più sofisticati, che consentono di partire dalla fase in cui si trovano per essere ulteriormente sviluppate. Per fare questo abbiamo servizi che vanno dall’aiuto e il supporto per l’accelerazione, consulenza strategica, commerciale, finanziaria. Un team che aiuta le aziende a costruire la parte tecnologica, le parti di logistica con servizi di coworking e di lavoro che garantiscono all’impresa un supporto fisico, logistico. E servizi di tipo commerciale». Quando siete nati? «Siamo attivi come incubatore dal 2008, quindi entriamo nel settimo anno di attività , in questo periodo di tempo abbiamo fatto 50 incubazioni, vale a dire che qui sono nate 50 startup, delle quali alcune partecipate anche a livello di equity, e ne sono uscite 10 di cui sei vendute e quattro chiuse. Nel nostro portafoglio ce ne sono attualmente 40 attive». E da dove vengono i finanziamenti? «In generale da quelli che i finanziatori iniziali di Digital Magics, tra cui il sottoscritto, hanno fatto dall’inizio e nel corso degli anni. Poi sono seguiti finanziamenti in equity al momento della quotazione, prima un bond convertibile poi la quotazione vera e propria per oltre 10 milioni. In seguito circa altri tre milioni di finanziamento, fatti con un paio di istituti bancali, che insieme ai profitti delle exit ci hanno consentito di fare investimenti che oggi sono di oltre 15 milioni». Quali prospettive per il digitale? «H settore in Italia è in un momento di grande crescita: un po’ perché siamo indietro rispetto al resto dell’Europa, quindi stiamo andando a colmare il gap che ci divide da settori del commercio elettronico come da tutti i vari settori che vengono impattati dalla digitai economy, da internet. C’è un mercato orientato ai business consumer che offre molte opportunità per costruire nuove imprese, come prodotti di nicchia o nel mercato globale, con imprenditori internazionali che vengono prevalentemente dal nord Europa. Il mercato cresce nonostante la crisi. Quanto poi al venture capitai, agli investimenti nel nostro settore, questo è un settore ancora molto piccolo anche perché siamo tradizionalmente lenti nel costruire un ecosistema pronto a finanziare il paese, anche questo come è naturale in virtù della opportunità  oggettiva che c’è sul mercato di costruire nuove imprese. Il settore sta crescendo rapidamente anche perché aiutato da una situazione favorevole dal punto di vista legislativo, da un paio di anni a questa parte». Tra l’altro, insieme a Expert System, che opera nel campo della tecnologia semantica, Digital Magics ha esaminato 1,0 milioni di artìcoli di giornali di tutto il mondo per la ricerca “L’evoluzione del termine startup nella stampa”. Il risultato è che il nome più citato risulta essere quello di Mark Zuckenberg; il primo termine in italiano Piazza Affari; tra le città del nostro Paese la più citata è Milano; tra le aziende Google, Apple, Microsoft, nell’ordine; termini molto citati sono tuttavia anche nascita di un’azienda; giovane; idea; innovazione; servizi e prodotti digitali; mercato, lavoro, business, capitale, investimento, e via dicendo. Nxt Innovation C’è anche chi lavora per le startup sul mercato internazionale. Come spiega Guido Mastropaolo, partner di Nxt Innovation: «Lavoriamo con aziende soprattutto europee ma anche in Medio Oriente e in America, siamo molto presenti in Italia, a Milano, come a Parigi o in Canada. Abbiamo fondato la società  in tre e tutti abbiamo una certa esperienza con le corporate, ma abbiamo anche un trascorso di startup. Ci siamo resi conto chequeste, dopo la fase di incubazione, si trovano in difficoltà al momento dell’accesso sulmercato. Soprattutto in Europa, che non è un mercato facilmente accessibile come quello americano per esempio, o dove il capitale non è così facilmente reperibile, dove non si può raccogliere così come invece nella Silicon Valley, è essenziale poter far leverage sugli asset delle corporate per crescere e svilupparsi. Ci siamo resi conto che la stragrande maggioranza delle aziende, anche grosse, ha una scarsissima conoscenza di quello che accade in Silicon Valley e in altre parti del mondo, ivi comprese l’Italia, la Francia, Israele e così via, dove le high tech company che hanno superato lo stadio iniziale di startup, e sono appunto diventate high tech company, non sono conosciute in quanto molto spesso le corporate che non hanno antenne sul mercato e non fanno scoutìng continuo, hanno una scarsa visibilità del panorama costituito da queste nuove aziende». Come si sviluppa il vostro lavoro? «Abbiamo identificato due bisogni contemporanei, da una parte quello delle startup e dall’altra quello delle corporate. Ci siamo impegnati a fare il bridge tra le due realtà , che non significa soltanto falle conoscere, ma promuovere un incontro anche culturale e quindi di coaching. Quesf ultima attività riguarda soprattutto le startup che molto spesso sono fatte da persone che non hanno grande familiarità  con il mercato e dall’altra parte per le corporate che non hanno l’abitudine di relazionarsi con delle startup. Il che significa che hanno bisogno di accompagnamento». Fate scoutìng per le corporate? «Diciamo che per le grandi aziende si fa un lavoro di selezione. Ci incontriamo e identifichiamo i bisogni di innovazione soprattutto digitale, all’interno della loro catena del valore. Una volta fatto questo, noi che abbiamo in portafoglio molte startup con le quali abbiamo già lavorato, e siamo in grado di fare ulteriore scoutìng, selezioniamo un piccolo bouquet di startup che potrebbero essere in linea per soddisfare i bisogni delle corporate, con queste ultime incontriamo le startup rimaste dopo la prima selezione, e identifichiamo quelle che sono più adatte a soddisfare i bisogni delle corporate. Poi facciamo un lavoro di accompagnamento perché il progetto di integrazione tra la high tech company e la corporate possa procedere. Non ci fermiamo al momento d’incontro perché, per esperienza, abbiamo verificato che altrimenti il processo di integrazione non funziona, non procede». Il decreto Restart Italia promette di sveltire dell’iter burocratico e la semplificazione delle pratiche fiscali per le startup, le più numerose delle quali finora sono dislocate nell’Italia settentrionale e operano nel settore dei servizi.»