Patrimoni – maggio 2015
Quanto rende fare gli angeli
Scommettono sulle start up innovative, di cui non più del 20% si trasformerà in un grande business. Il ritorno è di circa il 27% annuo sull’intero capitale investito, flop compreso. Ecco come si può diventare un business angel (in Italia), per guadagnare e aiutare lo sviluppo del Paese Max MalandrÃ
Imprenditore (o manager), un patrimonio medio alto e tempo a disposizione. È questa la carta d’identità del business angel. E poi: voglia di rischiare, di spendere le proprie capacità e relazioni per far crescere società  di cui si è comunque, insieme ad altri «angeli» (altrimenti detti investitori privati informali), socio di minoranza, e impegnarsi in business in cui statisticamente le probabilità che esplodano e si trasformino in un grande successo sono del 10 o 20% circa. Sì, perché gli «angeli del business» fanno proprio questo: prendono sotto le loro ali protettrici una o più società in fase di sviluppo, le cosiddette startup, e cercano di farle crescere e prosperare fornendo sia capitali sia consulenza. Come spiega Paolo Anselmo, presidente di Iban (acronimo di Italian business angels network, branch italiana dell’Eban, European business angels network), costituita nel 1999: «Nell’arco di 10-15 anni un business angel finanzierà da 10 a 15 progetti. Secondo le nostre rilevazioni, in media, su 10 business almeno la metà chiuderà dopo qualche anno, un altro terzo vivacchia e solamente uno, o al massimo due, decollerà diventando un caso di successo. Per questo motivo è necessario diversificare i investimenti, ripartendo le risorse, nel corso degli anni, su più progetti». Ma chi è e cosa fa nella pratica un business angel? CHI SONO I BUSINESS ANGEL Si tratta di privati, che operano con denaro proprio e che quindi rischiano in prima persona. Accanto a un’associazione come l’Aifi (Associazione italiana private equity e venture capitai) che raggruppa solo operatori istituzionali, nel corso degli ultimi 20 anni sono nate diverse reti che associano questa tipologia di investitori e che hanno come obiettivo facilitare incontri, scambi di opinioni, occasioni di meeting e di screening di progetti industriali, ma anche momenti di formazione e di aggiornamento. Chi decide di investire in startup lo fa quindi per propria libera convinzione esoprattutto personalmente, anche se ovviamente, viste in genere le richieste finanziarie delle società , insieme ad altri business angel. Senza contare che la vicinanza territoriale, in genere, rappresenta un altro aspetto importante: per questo motivo i vari network si sono sviluppati o come coordinamento di realtà e associazioni locali o viceversa aprendo sedi territoriali per costruire un tessuto in cui finanziatori e finanziati possano condividere anche un medesimo retroterra culturale e interessi comuni, facilitando quindi gli incontri. SU 10 BUSINESS LA METÀ CHIUDERÀ E SOLAMENTE UNO O DUE DIVENTERANNO UN CASO DI SUCCESSO L E COMPETENZE RICHIESTE «I business angel sono in genere imprenditori, ex titolari di società , oppure anche ex manager che dispongono di mezzi finanziari, di una buona rete di conoscenze e di una solida capacità gestionale da impiegare in piccole e medie imprese», spiega Marco Villa, vicepresidente e managing director di Italian angels for growth, la rete che ha cofondato nel 2007. «Si tratta di una attività  potenzialmente interessante, che tiene in contatto con quello che succede “di nuovo” nel mondo dell’innovazione, che non richiede solo un investimento finanziario ma anche in termini di tempo: in genere il business angel si spende in prima persona nell’attività che ha cofinanziato, aiutando e partecipando sia alla fase di gestione sia a quella strategica. A volte formalizzando l’intervento con una carica nel cda della partecipata, spesso figurando semplicemente come consulente esterno». «Xè competenze desiderate, tuttavia, non si fermano a quelle di manager e imprenditori», interviene Anselmo. «Sono gradite e richieste anche figure professionali quali avvocati e commercialisti per esempio: insomma capacità in grado di aiutare un’azienda appena nata a crescere e a svilupparsi in modo corretto e sano». Se invece l’idea fosse quella di puro e semplice investimento, allora la scelta migliore è puntare su intermediari e strumenti dedicati. IL PATRIMONIO NECESSARIO Quanto occorre avere a disposizione per intraprendere l’attività del business angel? A fare i conti in tasca al potenziale investitore ci pensa Anselmo. «Essendo una libera attività  esercitata da un privato in teoria non esistono limiti minimi, tuttavia per operare in modo serio occorre un patrimonio medio alto», spiega il presidente di Iban. «Teniamo conto infatti che si tratta di investimenti che per loro natura hanno un profilo di rischio molto elevato e quindi mi sembra prudente non allocare più del 10- 20% di un patrimonio mobiliare. Inoltre è necessaria un’elevata diversificazione, diciamo almeno una decina di partecipazioni nell’arco di un decennio. Ipotizzando quindi un impiego di 5-10mila euro in ogni startup, ecco che complessivamente si arriva a investire 50-100mila euro e quindi il patrimonio di base, in un’ottica prudenziale, non dovrebbe essere inferiore. Meglio se un po’ più alto». I NETWORK II momento tipico in cui il business angel incontra le startup che chiedono finanziamenti è organizzato su base regolare dai vari network di cui fa parte. «Come Italian angels for growth noi organizziamo serate di incontri in genere una volta ogni due mesi per non sovraccariII SETTORE TECNOLOGICO È QUELLO IN CUI SI CONCENTRA GRAN PARTE DELLE DOMANDE DI INVESTIMENTO care eccessivamente le agende dei nostri iscritti»,spiega Villa. «Ma altri gruppi si incontrano magari una volta ogni tre o quattro settimane. La cadenza che ci siamo dati ci consente di portare, a ogni incontro, mediamente tre o quattro idee imprenditoriali. Startup che quando arrivano all’attenzione dei nostri associati sono già passate attraverso una tripla scrematura. Una prima da parte di un managing director e di un team interno dell’associazione che valuta i requisiti minimi del progetto, che vanno dalla sua effettiva innovazione al potenziale di crescita. In seguito un gruppetto di associati con esperienze nel settore industriale del progetto giudica il business pian e incontra personalmente l’imprenditore e il suo team. Infine, se il progetto supera i primi due step, passa al vaglio del Comitato screening che seleziona i 3-4 progetti migliori da presentare agli associati». E a questo punto cosa succede? «Ogni associato, al termine delle presentazioni, decide se e quanto investire nel progetto; questo, se raccoglie sufficienti adesioni, viene sottoposto a una due diligence approfondita che spazia dalla tecnologia roposta agli aspetti legali e che dura in genere un paio di mesi», continua Villa. «Al termine di questa, se l’esito è positivo, i soci sono invitati a confermare o ritirare l’intenzione di investirvi espressa all’incontro e quindi procederanno autonomamente a predisporre la contrattualistica e il veicolo societario da utilizzare per l’operazione». SETTORI E INVESTIMENTI II comparto tecnologico, in tutte le sue ormai molteplici sfaccettature, rimane quello in cui si concentra gran parte delle domande di investimento. Il perché lo spiega il presidente di Iban: «II settore è quello che in questa fase storica ha più opportunità di crescita, di sviluppo e di innovazione: information technology, digitale, app per tablet e computer sono i filoni più gettonati. Molto meno invece, per esempio, il biotech, dato che richiede un time to market molto più lungo. Inoltre il tech è quello che può prospettare le possibilità di guadagno più elevate oltre che sbocchi di mercato internazionali». «Rileviamo anche un ritrovato interesse per i settori medicale, della diagnostica, del life science e dell’energia pulita», sostiene Villa. «Aggiungerei poi i settori del traveltech del food e del fintech», aggiungè Enrico Gasperini, presidente di Digital Magics, il venture incubator di aziende digitali quotato all’Aim. «Sono diverse le proposte che riceviamo che hanno come ambito proprio i viaggi e la finanza. Del resto una delle ultime operazioni di exit effettuate ha riguardato proprio una startup italiana autorizzata come finanziaria da Banca d’Italia, Prestiamoci». Insomma, non va dimenticato che si tratta di società che generalmente non hanno bisogno di investimenti enormi per partire. «Mediamente le richieste di capitale delle startup che vagliamo sono nell’ordine dei 3OO-5OOmila euro e quindi sono alla portata dei vari network», dice Anselmo. «Inoltre in Italia soffriamo del fatto che ben difficilmente queste società possono accedere a risorse pubbliche di appoggio come invece succede nei paesi anglosassoni, quindi occorre più capitale di rischio. Ed è anche il motivo per cui gli investimenti vengono effettuati in pool da più business angel, che mediamente investono tra i 10 e i 30mila euro ciascuno, mentre in passato, sull’onda dell’entusiasmo, si era arrivati anche a impegni da 100-200mila euro a testa». «In ogni caso i business angel rimangono quasi sempre come soci minoritari, e in genere entrano nel capitale della startup con il 30-33% del capitale», aggiunge Villa. EXIT STRATEGY Dopo qualche anno dall’investimento, se si è fortunati e la startup è sopravvissuta alle tempeste dell’economia ed è riuscita a imporsi sul mercato, si arriva all’auspicato momento in cui si monetizza l’investimento effettuato, la cosiddetta «exit». Che può avvenire con la cessione del capitale a una società più grande (sia essa industriale o finanziaria, cioè un fondo di venture capitai o di private equity), attraverso un management buy out oppure con la quotazione in Borsa (Ipo, initial public offering). «Il riacquisto da parte di manager o soci è uno scenario abbastanza remoto >w così come Pipo», spazza subito il campo dalle ipotesi il vicepresidente di Italian angels for growth. «A memoria ricordo come questo sia successo solo per Mutui Online e Yoox. In tutti gli altri casi l’exit è avvenuta tramite un’acquisizione. Ma questo sta succedendo anche all’estero, non è un fenomeno solo italiano”. Spesso, infatti, è un problema di dimensioni: guardando ai dati si scopre come delle circa 3.500 aziende considerate innovative solamente l’uno per mille (meno di 40 quindi) ha un fatturato superiore a 1 milione di euro. Insomma, l’effervescenza di startup c’è, ma non sfocia in campioni di nicchia che abbiano la capacità di crescere e imporsi. E quelle che ce la fanno in questo contesto storico sono solo raramente aziende italiane. PROFITTI POTENZIALI Ma alla fine quanto si guadagna? La domanda, più che lecita è in realtà d’obbligo. -Su un periodo di investimento di tre anni, metà degli investimenti sono in I I RIACQUISTO DA PARTE DI MANAGER 0 SOCI È UNO SCENARIO ABBASTANZA REMOTO COSÃŒ COME L’IPO perdita, il 30% ha rendimenti che definirei accettabili, ovvero con un multiplo compreso tra 1,5 e 5 volte e infine l’ultimo 20% ha ritorni superiori a 5 volte su un periodo di investimento di 4-6 anni», illustra Villa. «Quindi mediamente un multiplo medio di 2,6 volte su un arco di tempo di 3,5 anni, cioè un tasso interno di rendimento del 27% circa all’anno sul totale investito». «Noi come Digital Magics abbiamo un tasso di successo superiore alla media, con circa quattro operazioni positive su 10», afferma però Gasperini. «Ma del resto è normale, visto che facciamo questo di mestiere. E con un Irr, vale a dire un tasso di rendimento, superiore al 30%». INCUBATORI E SOCIETÀ Le associazioni rappresentano il principale strumento e veicolo di conoscenza e incontri per i business angel. Tuttavia, accanto ai network, questa tipologia di investitori, operando come privati e quindi senza vincoli di alcun tipo, può trovare soluzioni alternative, per esempio associandosi o appoggiandosi a incubatori d’imprese con cui co-investire, oppure costituendo società che operano con una logica di acquisto di partecipazioni. Ecco alcuni esempi. LVENTURE racchiude in sé una doppia caratteristica, è una società quotata in Borsa («l’unico venture capitai quotato», spiega l’ad Luigi Capello) e al tempo stesso ha un acceleratore di startup al proprio interno, il Luiss Enlabs, costituito insieme all’Università Luiss. Tanto che Cb Insights, società statunitense di riferimento del settore specializzata nell’analisi di dati relativi al mondo del venture capitai, ha inserito LVenture tra i 20 venture capitai più attivi in Europa nell’ambito dello European Tech Report. «LVenture si posiziona nei primi stadi della filiera del funding», spiega Luigi Capello. «La fase di pre-seed in cui, tramite Luiss Enlabs, selezioniamo le più promettenti startup sul mercato, poi quella di micro-seed in cui investiamo capitali limitati, fino a 60mila euro, LVENTURE È GIÀ QUOTATO IN BORSA E HA UN ACCELERATORE DI STARTUP AL SUO INTERNO in startup nelle fasi iniziali di sviluppo, supportandone il processo di lancio del prodotto attraverso un programma di accelerazione gestito dall’acceleratore; infine quella cosiddetta di seed, in cui gli investimenti più consistenti, fino a 250mila euro, vengono fatti nelle startup uscite con successo dal programma di accelerazione oltre che in altre startup in fase più matura selezionate sul mercato. Inoltre a febbraio abbiamo inaugurato, in collaborazione con big del calibro di Microsoft, Google, Samsung e Intel, un laboratorio attrezzato in cui gli sviluppatori potranno testare le loro app su tablet e smartphone, nonché su software e modelli non ancora presenti sul mercato». Nel nuovo piano industriale 2015-2018, intanto, la società avvierà  un progetto denominato Angel Partner Group con l’obiettivo di sviluppare e consolidare relazioni con i business angel per accrescere la potenziale massa di capitali a disposizione e aumentare di conse- guenza le operazioni di co-investimento nelle startup. DIGITAL MAGICS invece ha già intrapreso la strada degli investimenti in tandem con i business angel è Digital Magics, fondata da Enrico Gasperini, che dal 2008 opera come venture incubator di startup innovative digitali e che nel 2013 si è quotato all’Aim Italia. Ogni anno il Digital Magics Lab identifica una decina di progetti che la quotata poi sostiene utilizzando i fondi derivanti dagli exit ALLA DIGITAL MAGICS RIUSCIAMO AD AVERE UN TASSO DI RENDIMENTO, SUPERIORE AL 3 0 % e collaborando con gli operatori della filiera. La società investe sia in proprio sia aprendo al proprio Digital magics angel network: «Si tratta di una rete di partner che investono con noi in club deal a supporto delle startup e scaleup digitali incubate», spiega Gasperini. «Sono investitori privati, fondi istituzionali e partner industriali. Il network collabora anche alle attività di selezione e mentorship delle partecipate in corso di sviluppo o già sviluppate, fornendo il proprio know-how o partecipando a piani industriali. A ottobre poi abbiamo lanciato anche il Business angel club, per sostenere le startup e l’innovazione nel Sud Italia, creando uno scambio di relazioni e competenze fra il mondo della finanza locale e quello digitale: l’obiettivo è quello di favorire i rapporti fra manager, business angel, imprenditori del territorio e neoimprese innovative, organizzando incontri ogni due mesi in tutte le regioni del Sud Italia». Infine, di due mesi fa è l’accordo con Talent Garden, leader italiano fra i digitai coworking network, che aggrega i diversi attori del mondo dell’innovazione e ha costruito una community online di circa 40mila persone tra freelance, developer, startup digitali, investitori e grandi aziende. Digital Magics, che è ora nel capitale della società e potrà salire fino al 28%, ne sosterrà l’espansione puntando all’apertura di 50 nuovi spazi in Europa entro il 2018, che si affiancheranno così ai 10 campus già presenti in Europa. WITHFOUNDERS è una società di investimento che opera come seed accelerator e che in circa due anni di attività ha selezionato oltre 200 progetti e finanziato 13 startup per un valore totale di circa 1 milione di euro, che danno lavoro a oltre 200 persone, con un fatturato complessivo superiore ai 15 milioni. Un esempio di come alcuni business angel si sono associati per investire insieme. «Abbiamo raggiunto il break even con tre partecipate e ottenuto una prima exit, con un multiplo di 10 volte», sottolinea Giulio Vallante, fondatore e ad della società , tecnicamente una srl. «Abbiamo optato per questa forma INVESTIAMO SOLO IN SETTORI IN cui L’ITALIA PUÃ’ FARE LA DIFFERENZA, COME FOOD E RETAIL societaria in quanto rappresentava la soluzione migliore per noi cinque fondatori. Lavoriamo solamente con capitale proprio e abbiamo deciso di investire in settori in cui l’Italia può fare la differenza, per esempio e-commerce, food e retail. Entriamo nel capitale delle startup con un apporto compreso tra 30mila e lOOmila euro e con una quota che va dal 5 al 15%, ma senza chiedere posti in cda: preferiamo mantenere un ruolo da osservatori e controllare l’andamento delle società senza obblighi e vincoli di governo». Withfounders si è creata già un’ottima fama, tanto che tra i partner che hanno investito nelle società partecipate si annoverano investitori istituzionali quali Principia Sgr, D Pixel, Innogest Capital, Vertis Sgr e Digital Magics. «Le società da noi finanziate hanno successivamente raccolto nuovo capitale per quasi 20 milioni, con un valore stimato che è passato da 5 a oltre 46 milioni, a seguito degli aumenti di capitale sottoscritti dai nuovi investitori», conclude Valiante. STRUMENTI FINANZIARI L’attività di business angel, per sua natura, è prevalentemente effettuata da privati e generalmente in modo comunque poco strutturato, apportando non solo capitali ma anche competenze personali e dedicandovi tempo in prima persona. Tuttavia, per chi volesse operare solo come investitore finanziario sono a disposizione azioni,  fondi ed Etf. Il panorama finanziario per investire indirettamente su startup e società in via di affermazione, quindi, per quanto meno vasto di altri settori, è ricco di strumenti. Anche se occorre tener presente la necessità di un profilo di rischio più elevato rispetto a quello che è per esempio l’investimento su titoli azionari classici, a causa della forte volatilità cui può essere soggetto il comparto. Molto poi dipende dall’andamento dei tassi di interesse, dell’economia nazionale e internazionale e anche delle Borse azionarie. «Possiamo affermare che l’economia italiana sia in una fase di rilancio e anche il settore degli investimenti alternativi ha ripreso coraggio», ha detto di recente Innocenzo Cipolletta, presidente di Aifi, l’Associazione italiana del private equity e venture capitai. «Questo 2015 vede l’insieme di tutta una serie di condizioni favorevoli per poter finalmente affermare che siamo in una fase di riGLI STRUMENTI PER INVESTIRE INDIRETTAMENTE SU STARTUP SONO MOLTI. MA OCCORRE UN PROFILO DI RISCHIO ELEVATO partenza, di crescita e di uscita dalla crisi che ha bloccato, negli ultimi anni, risorse economiche e capacità imprenditoriali. Ora non resta che utilizzare tutti gli strumenti a nostra disposizione per raccogliere, investire e creare occupazione e crescita economica». Ma se in Italia la ripresa sembra in fase embrionale, nel resto dell’Europa e soprattutto negli Stati Uniti il ciclo economico è decisamente più avanti, senza contare che il lungo periodo di tassi di interesse prossimi allo zero ha permesso una prolungata attività di M&A che ha potuto svolgersi con costi limitati in termini di onere del debito. Ecco quindi che anche l’attività dei private equity internazionali, che operano in leva, anche se a livelli più contenuti rispetto a una decina di anni fa, ha trovato giovamento da questo clima economico favorevole. A disposizione di chi voglia investire denaro affidandolo però a professionisti terzi del settore sono così una serie di strumenti finanziari, selezionati e riassunti nella tabella nella pagina a finaco. GLI ETF Alla portata di un investitore italiano vi sono tre Etf quotati all’EtfPlus di Borsa Italiana. Db X-Trackers Lpx Mm Private equity, ha un costo annuo dello 0,7% e per sottostante un indice calcolato in euro, ha come obiettivo la copertura di massimo 25 società internazionali di private equity quotate: la selezione avviene partendo da un database di tutti i principali private equity dei paesi sviluppati e utilizzato come base per la costituzione dell’indice. Lyxor Privex, con lo 0,7% di Ter annuo, replica invece le performance delle 25 azioni delle società più importanti e più liquide che operano nel private equity negoziate sulle borse mondiali. L’indice sottostante, Privex total return in dollari Usa, riflette le varie tipologie di investimento ricomprese nel private equity (venture e development capitai, buy-out, restructuring ecc). Il paniere è bilanciato in base alla capitalizzazione di mercato aggiustata per il flottante, con revisioni semestrali dei componenti. Powershares Global listed private equity ha un costo annuo dello 0,75%: segue l’indice calcolato da S&P in dollari che seleziona le migliori 40-60 società o fondi, quotati nei principali mercati mondiali, che svolgano la loro attività nell’ambito del private equity. I FONDI Morningstar ha creato un apposito comparto di riferimento per i fondi che investono in questo settore, ma per ora le possibilità di investimento sono solamente due. Private Equity Strategy di Duemme Sicav offre il proprio ad accumulo, tre stelle Morningstar e spese correnti del 2,16%. L’esposizione al comparto può avvenire investendo prevalentemente in azioni emesse da società costituite nei paesi dell’Ocse e in obbligazioni emesse da enti sovranazionali, governativi o quasi-governativi e in obbligazioni societarie oltre che in strumenti derivati (opzioni, warrant, futures). Premiato con tre stelle Morningstar è anche il secondo fondo, di Seb Asset Management, il Listed private equity fund (1,59% le spese correnti). Investe in società di private equity quotate a livello internazionale, senza geografici ma su un numero ridotto di partecipazioni: ciò significa rendimenti attesi più elevati ma rischi maggiori. LE AZIONI A Piazza Affari sono quotati tre titoli. Lventure è tra i primi operatori di seed venture capitai quotati al mondo, con una capitalizzazione di mercato tuttavia ridotta, poco più di 15 milioni di euro. Su livelli di market cap leggermente più elevati, circa 22 milioni, è Digital Magics, quotata all’Aim Italia e fondata e diretta da Enrico Gasperini. Si tratta di un venture incubator di startup innovative digitali, con contenuti e prodotti ad alto contenuto tecnologico, che fonda e costruisce investendo anche capitale proprio. Infine, Tamburi Investment Partners: con una market cap di circa 500 milioni di euro, il gruppo guidato da Giovanni Tamburi investe sia in società quotate sia in non quotate con l’obiettivo di portarle in Borsa. Gli esempi? Da Moncler a Intercos, da Eataly a Roche Bobois e iGuzzini. I PRIVATE EQUITY ESTERI I big del comparto, anche in questo caso, sono all’estero, quindi quotati in valuta diversa dall’euro: accanto a quello dell’investimento in capitale di rischio occorre quindi tener conto che si aggiunge anche il rischio cambio. Negli Usa sono quotati i tre private tra i più grandi al mondo, Blackstone (che capitalizza oltre 45 miliardi di dollari), Kkr (quasi 20 miliardi) e Carlyle Group (poco meno di 10 miliardi). Altri esempi sono la canadese Onex (circa 8 miliardi di dollari di market cap) e la britannica 3i Group (quasi 5 miliardi di sterline). • PAOLO ANSELMO, GIULIO VALIANTE, LUIGI CAPELLO, ENRICO GASPERI IL VALORE DEGLI INVESTIMENTI fonte: IBAH Associazione italiano degli investitoti informali in rete – Italioti Business Ungels Network fcsociationfame: IMH isstxiaiiane italiano degli investitori informali in tele – Itotion Business tngels network ksotiatian IL VALORE DEI SINGOLI INVESTIMENTI I SETTORI D’INVESTIMENTO Fonte: IBAN associazione italiano degli investitoti informali in rete – ìtnlion Business Àngels Network MsodarionKkr AZIONI 3i Group Biadatone Tamburi Investment Partners Onex American Capital Strategies The Carlyle Group Digital Magics Apollo Global Management Iventure Etf a Piazza Affari Emittente Lyxor Db-x-Trackers Powershares Fondi Gestione Duemme Sicav SebAm Doti