VITA – maggio 2015
L’Italia delle startup ha bisogno di un leader. Forse l’ha trovato
di Luca De Biase
L’ecosistema delle startup italiane non nasce dal nulla. L’economia italiana è tra quelle che sanno generare nuove imprese in quantità  importante da sempre. Il problema è che quelle neoimprese non sono necessariamente innovative. Ma il sistema accelera solo se si sincronizza con la dinamica dell’innovazione pensando alle tecnologie digitali, alle nanotecnologie, alle biotecnologie, alla robotica, come abilitatori della crescita a partire dalle sue filiere più energiche: cioè almeno alimentare, arredamento, abbigliamento, automazione industriale, arte e turismo, oltre che probabilmente agli ambiti legati alla salute e al benessere. Questo non esaurisce la descrizione di una delle maggiori economie del pianeta ma certo sottolinea alcune filiere che possono fare abbastanza crescita e valore aggiunto da poter sostenere gli investimenti necessari all’innovazione. Quegli investimenti coinvolgono una quantità di soggetti – dalle università all’editoria, dalla pubblica amministrazione al sistema dei servizi di rete, bancari, consulenziali, e così via – la cui modernizzazione è di importanza enorme per tutti. Non ci vuole un genio per vedere che una parte fondamentale dell’innovazione può venire dall’insieme delle startup, digitali e non: e queste a loro volta possono fiorire in un contesto che le comprenda e valorizzi. L’ecosistema delle startup innovative si sta facendo notare soprattutto negli ultimi anni, dopo la semplificazione legislativa avviata nel 2012. E oggi si calcola che riguardi oltre tremila imprese per 15mila addetti. Intorno a questo fenomeno si allarga la vicenda delle pmi innovative da una parte e dei professionisti freelance che lavorano per questo ecosistema e che alimentano di attività i luoghi del co-working e molte altre iniziative. Di certo, è un ecosistema molto nuovo e dunque non tutte le nicchie ecologiche sono abitate. In particolare la finanza pare particolarmente limitata, le startup disegnate per diventare giganti globali non abbondano, gli incubatori che ondeggiano tra il business immobiliare e quello finanziario non mancano, gli acceleratori dall’orizzonte più locale più che internazionale abbondano. Ma un ordine emergente ha bisogno di tempo in un ecosistema. E spesso ha bisogno di leader. Ce ne sono. Ora ce ne potrebbe essere uno in più. Infatti l’annuncio fatto il mese scorso dell’aggregazione tra Digital Magics, Tamburi, Talent Garden potrebbe garantire un leader con le spalle più grosse di quelle delle iniziative finora apparse all’orizzonte. E con un’idea moderna: innovare nella piattaforma, affidandone chiaramente lo sviluppo a Talent Garden; innovare nel business dell’accelerazione di impresa, chiarendo così il ruolo di Digital Magics; innovare nella quantità e qualità della finanza, contando sull’esperienza e la dimensione di Tamburi, che tra l’altro può fare da ponte con patrimoni ricchi ma finora poco propensi a investire nelle startup. È una semplificazione: ma questo genere di aggregato, con le idee chiare per ogni componente e con dimensioni significative nell’insieme, non si era visto finora. Sarà importante vedere all’opera il prodotto di questo accordo. Ma la spinta dimensionale e culturale che ne può venire fuori può essere molto importante.