L’Espresso – Il futuro della banca è social

L’Espresso – 20 agosto 2015

Sharing Prestiti fra privati

Il futuro della banca è social

Le piattaforme online che fanno incontrare
chi investe e chi cerca finanziamenti vanno a
gonfie vele. E si fanno strada anche in Italia.
Un fenomeno che potrebbe sconvolgere
il sistema tradizionale degli istituti di credito

di Maurizio Maggi

«DISRUPTION». DISTRUZIONE. Gli analisti, non soltanto quelli bellici, lo usano spesso questo termine, quasi con leggerezza. Lo impiegano anche gli esperti di tecnologia, per far capire quanto sia forte la mutazione in atto in un certo campo. E proprio di “disruption” parla Andrea Rangone, fondatore e direttore degli Osservatori ICT & Management della School of Management del Politecnico di Milano, nel descrivere ciò che accade nel sistema bancario. Nel raccontare il fume di denaro che si sta riversando sulle start-up della cosiddetta “fintech”, la finanza tecnologica. Nulla sarà come prima, nel mondo del credito: «Perché quando i soldi dei venture-capital si concentrano su un comparto, è come se su quel comparto venissero finanziati ordigni in grado di sconvolgere un sistema. E il campo degli investimenti finanziari alternativi è disseminato di questo genere di ordigni», è la lineare interpretazione di Rangone. Che la supporta con cifre impressionanti: «Nel 2014, per mettere il turbo alle start-up fintech, i fondi di venture- capital hanno messo sul piatto due miliardi e mezzo di dollari; nella prima metà di quest’anno gli investimenti hanno già superato il miliardo e mezzo e chiuderemo sopra i tre. E nel 2016 il ritmo aumenterà ancora».
Sono in tanti a profetizzare sconquassi, causati dal rapido avvicinamento della “faglia” finanza alla faglia” tecnologia. Una fusione calda che, in estrema sintesi, farebbe esplodere la disintermediazione del tipico rapporto tra banca e cliente, rendendo sempre più possibile, attraverso le nuove tecnologie e le tendenze – vale a dire algoritmi, big data, attitudine alla condivisione delle generazioni nativamente digitali – il contatto diretto tra clienti. Il “social lending”, prestito tra privati gestito da una piattaforma online che fa i soldi tenendosi una commissione, è l’applicazione simbolo di una rivoluzione che il settimanale americano “Newsweek” tratteggia come il più grande cambiamento degli ultimi 400 anni sul pianeta banca, mentre i francesi di “L’Express-L’Expansion” dedicano un articolone ai “corsari della finanza che vogliono far saltare le banche”.
Il fenomeno è defragrato negli Stati Uniti, dove il credito al consumo – ambito d’elezione per il cosiddetto P2P (“peer-to-peer”, da persona a persona) – è un Moloch che vale tra i duemila e i tremila miliardi di dollari e si è imposto nel mondo anglosassone e in Cina. In Italia si muovono i primi passi. Smartika e Prestiamoci, le due società italiane autorizzate da Banca d’Italia a occuparsi di social lending, appunto del prestito tra privati, viaggiano con ambizioni numeriche lontane anni luci dalle stime per il futuro e dalla realtà attuale delle compagnie più importanti al mondo. Social Lending l’anno scorso ha erogato prestiti per 4 miliardi e 400 milioni di dollari, e le sue ancelle Prosper e SoFi hanno occupato gli altri due gradini del podio yankee rispettivamente con 1,6 e 1,3 miliardi di dollari prestati. Smartika, la più grande delle italiane, ha erogato finora 18 milioni e mezzo di euro, Prestiamoci è ancora decisamente più piccina. «Attualmente, circa un miliardo del credito al consumo concesso in Italia finisce a persone che il prestito lo cercano su internet: ecco, dobbiamo attaccare quel mercato, anche il 5 o il 10 per cento per noi andrebbero bene come target iniziale», sostiene Maurizio Sella, presidente di Smartika e discendente del celebre Quintino Sella (che era il suo trisnonno). Sella è anche parente dei Sella dell’omonima Banca, ma non è in affari
con loro. Il suo obiettivo, almeno come traguardo ragionevole della prima fase di sensibile crescita, è insomma di “conquistare” una fetta tra i 50 e i 100 milioni di credito al consumo. Un po’ più sopra si collocano le aspettative di Prestiamoci, l’unico concorrente tricolore in pista – almeno finora. Michele Novelli, numero uno della società, punta infatti allo 0,5 per cento del business domestico dei prestiti personali, valutato intorno ai 24-25 miliardi di euro. Difficile immaginare che, dalle nostre parti, il sotterraneo lavorio di Smartika e Prestiamoci possa far smottare il terreno sotto i piedi degli istituti di credito tradizionali, nonostante le apocalittiche previsioni di alcuni esperti. Sicuramente il settore è in ebollizione, ma le banche, spiazzate inizialmente, quando cominceranno a vivere il social lending come un pericoloso rivale contrattaccheranno, cercando di scendere a patti – accordi, fusioni, scambi, intese per non pestarsi i piedi, chissà – con i cosiddetti corsari.
Al di là degli azionisti di Smartika e Prestiamoci, qualche italiano che ritiene davvero “disruptive” l’impatto del social lending – e immagina che ci si possa fare dei quattrini – comunque c’è. L’unico nuovo investimento finanziario della Exor, la holding degli Agnelli, l’anno scorso è stato quello sulla quotazione di Lending Club, il colosso mondiale dei prestiti P2P. La finanziaria presieduta da John Elkann ha sganciato circa 13 milioni di dollari per mettere una “fiche”
sullo sbarco di Lending Club sul listino di Wall Street (11 dicembre 2014) e detiene 0,25 per cento del capitale.
Nelle prime settimane di carriera nella Borsa a stelle e strisce l’azione della società ha galoppato, arrivando a sforare i 30 di dollari di quotazione. Poi ha innestato la retromarcia, tornando più o meno intorno ai 15 dollari del prezzo di collocamento, dopo aver esordito col botto, chiudendo il primo giorno di contrattazioni a 24,75 dollari. Nella primavera del 2013, Google è entrata nella compagnia con una puntata più pesante – 125 milioni di dollari – ma a quel tempo la promettente impresa californiana veniva valutata “appena” un miliardo e 600 milioni. Cosa fa, di mestiere, Lending Club, icona mondiale della finanza tecnologica, che capitalizza in Borsa 5 miliardi e mezzo di dollari? Lo ha spiegato bene Elkann all’ultima assemblea della Exor: «Gestisce un servizio online che fa incontrare chi investe e chi prende a prestito denaro, offrendo a entrambi condizioni economiche migliori rispetto a quelle disponibili presso i canali tradizionali». Dal lato del prestatore (di quattrini), il punto di forza del social lending è ottenere rendimenti interessanti, specie se confrontati a quelli attuali delle obbligazioni, prestando denari la cui remunerazione non è legata alla capacità di rimborso di un singolo soggetto ma di molti debitori, con percentuali di insolvenza mediamente più basse di quelle sofferte dagli istituti di credito e delle finanziarie classiche. Dal lato del richiedente, i vantaggi stanno soprattutto nella rapidità delle procedure e nei tassi quasi sempre convenienti rispetto ai tradizionali fornitori di credito. Il social lending è ritenuto un business ad altissimo potenziale di crescita, anche se forse considerarlo il killer epocale del sistema delle banche classiche è un tantino esagerato, soprattutto in realtà come quella italiana. Secondo un recente studio della PwC, colosso della revisione dei conti e della consulenza aziendale, nei prossimi dieci anni il giro d’affari del social lending raggiungerà i 150 miliardi di dollari. Per PwC, le erogazioni del 2014 hanno superato gli 11 miliardi e nel 2015 supereranno alla grande i 30 miliardi. Più che sulla sua reale incidenza sul sistema del credito, per adesso, in Italia, il fenomeno del prestito tra privati è sicuramente più interessante se osservato dal lato dei prestatori. Perché chi ha necessità di rastrellare tra i 5 e i 15 mila euro per un prestito personale di alternative ne ha, a costo magari di sganciare qualche punto percentuale di interesse in più. È il risparmiatore che non ha molte diversificazioni, se vuol rimanere nell’alveo degli investimenti “tranquilli”. La redditività offerta da Smartika e Prestiamoci va dal 5 per cento annuo della prima al 9 per cento della seconda nel caso di prestiti alla clientela più problematica. Nessuna delle due società può garantire il rendimento proposto, però, assicura Sella, «dal 2012 a oggi non abbiamo passato nessuna pratica a perdita, e inoltre da qualche mese abbiamo attivato un fondo contro le eventuali insolvenze». Con Smartika, i soldi del prestatore (la soglia minima è di 100 euro mentre la massima sta passando da 50 a 100 mila euro), vengono frazionati tra almeno 50 richiedenti, per minimizzare il rischio. La durata dei prestiti va dai 12 ai 48 mesi. «I prestatori sono per il 90 per cento uomini, specie tra i 35 e i 55 anni, e abitano soprattutto nelle grandi città. Cominciano investendo mille euro e poi incrementano la somma. Inizialmente c’erano soprattutto i curiosi, gli sperimentatori di tutte le novità che arrivano dal web, poi è cresciuto il pubblico di coloro che ritengono il “prestito sociale” una ragionevole diversificazione all’interno dei propri investimenti». Sia Sella che Novelli, il capo di Prestiamoci, aspirano a una fettina degli investimenti personali: sarebbe del resto insensato piazzare tutto il proprio tesoretto di risparmi in un solo “strumento”, peraltro ancora così giovane. Ma chi i soldi li chiede in prestito, da che motivazioni è spinto? «Un terzo lo fa per ripagare i debiti con altri e ottenere condizioni migliori da noi; un terzo per finanziarsi spese mediche e dentistiche, un altro terzo per comprarsi un’auto o una moto usata», spiega il trisnipote di Quintino Sella. Che, come i colleghi-concorrenti di Prestiamoci, è in attesa del via libera di Banca d’Italia per realizzare un aumento di capitale che possa consentire la crescita della società. Perché, anche se con i piedi di piombo, pure il social lending tricolore crescerà. Sella crede che, nel giro di un paio di anni, di imprese come la sua ce ne sarà una decina. Qualcuna proverà anche a buttarsi sui prestiti alle imprese, un tasto delicato dell’economia italiana. Naturalmente in America c’è già chi lo fa, come On-Deck, e altri ci stanno provando. Sarebbe questa la vera rivoluzione, anche se la finanza “cartacea” non si lascerebbe certo portare via il malloppo senza reagire. D’altronde, il carburante per i prestiti effettuati su piattaforme come quella di Lending Club ormai li forniscono non più solo i privati: hedge fund e società di private banking rappresentano circa i due terzi dei “prestatori”. Il social lending, insomma, è “disruptive” solo per chi sta immobile.

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