Corriere Innovazione – April 16, 2014.
Corriere Innovazione – 16 aprile 2014.
La carica dei 100 incubatori! L’Italia punta sul futuro
di Luca Barbieri
Quasi duemila start up innovative e ventuno incubatori certificati. I numeri «ufficiali» dell’innovazione italiana potrebbero sembrare poca cosa se letti attraverso la lente del Decreto Sviluppo bis che fissa i paletti per usufruire delle agevolazioni fiscali per le imprese appena costituite. In realtà siamo di fronte a una situazione molto più complessa e difficile da misurare,
una nebulosa dal basso che mese dopo mese assume contorni sempre più precisi. La definizione «legislativa» Per la legge italiana si definisce «start up innovativa» un’azienda con meno di 48 mesi
di vita, un bilancio inferiore ai 5 milioni di euro, che ha come oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico e risponde a uno di questi tre requisiti: almeno il 15% delle spese in ricerca; un terzo della forza lavoro composta da dottorandi; è depositaria o licenziataria di brevetti. Ancora
più stringenti i criteri per essere un incubatore certificato, quelle strutture che si prendono
in carico la crescita e lo sviluppo delle start up fino al loro approdo sul mercato, e che devono essere società di capitali che mettono a supporto anche strutture immobiliari ben definite. I numeri reali «Secondo le nostre stime — spiega Federico Barilli, segretario di Italia Startup, l’associazione
di categoria che lo scorso ottobre ha presentato il “Who’s who†dell’innovazione italiana — i numeri sono più grandi, ma non enormemente più grandi». Per l’associazione, infatti, considerando solo le start up «serie», quelle realmente costituitesi come società e con un business plan solido, il
numero reale oscillerebbe tra le quattro e le cinquemila unità . «Certo la sensazione è che il numero di ragazzi che vogliono provarci cresca di giorno in giorno». Ancora più ampio il gap tra registro e realtà nel campo degli incubatori. Quelli registrati sono appena 21. Presto diverranno 22 con l’iscrizione che Working Capital Accelerator di Telecom Italia — programma che dal 2009 aiuta talenti  e idee a trasformarsi in imprese a Roma, Milano, Bologna e Catania — sta perfezionando in questi giorni. «In realtà , contando anche quelli pubblici le strutture che si autodefiniscono incubatori sono almeno un centinaio». Troppi? «Forse no, la presenza del pubblico serve comunque da stimolo: inoltre l’Università fa molto bene scouting e indirizzamento». L’innovazione italiana è un magma ribollente che sfugge da ogni lato e che l’urgenza di alcuni criteri legislativi non riesce a cogliere appieno: «Anche se rispetto alla formulazione iniziale i cordoni sono stati allentati, il registro ha dei limiti — continua Barilli —. I quattro anni di tempo dalla fondazione, e i cinque milioni di euro di fatturato massimo, su settori come il medicale, le scienze della vita e la meccatronica sono fuori scala». La mappa I 21 incubatori registrati sono localizzati prevalentemente al Nord (5 in Lombardia, 3 in Veneto e 3 Friuli Venezia Giulia, 2 in Piemonte, 1 in Alto Adige) e poi ricompaiono a sprazzi, ma con punte di assoluta eccellenza, lungo in tutto il Paese. La mappa  delle start up, che gemmano nei luoghi più disparati (negli atenei, nei parchi scientifici, nella rete di The Hub), segue la stessa traiettoria. Guai ad avere pregiudizi. Anche estetici. Se arrivate a Roma in treno, ad esempio, guardatevi bene attorno: la stazione Termini è diventata grazie a Luiss Enlabs , uno dei più formidabili spazi della nuova impresa italiana. «Invece che portare le start up italiane, che non sono pronte, in California — spiega Luigi Cappello, il fondatore — abbiamo costruito un acceleratore in Italia: poi quando iniziano a fatturare le aiutiamo a cercare i veri capitali negli Stati Uniti». Benefici e investimenti Per usufruire del regime agevolato loro dedicato, sia start up che incubatori devono iscriversi al registro delle Camere di Commercio istituito ad inizio 2013 e il cui aggiornamento bisettimanale ci restituisce una poderosa crescita delle iscrizioni. «Questa evoluzione ci dice che nonostante i limiti, lo strumento funziona», dice Barilli. Con l’entrata in vigore degli incentivi fiscali lo scorso marzo (le persone fisiche possono detrarre dall’Irpef un importo pari al 19% dell’investimento mentre le imprese possono dedurre dall’Ires il 20%) ora tutto il panorama dei benefici previsti dal Decreto Passera è dispiegato. «Così ci aspettiamo una buona crescita degli investimenti» prevede Enrico Gasperini, presidente di Digital Magics. Le stime Già , gli investimenti: quanto muovono le start up italiane? La stima di Italia Startup è di 110 milioni di euro nel 2013. Per Aifi, l’associazione italiana del private equity edel venture capital, è di 80 milioni, in calo rispetto all’anno precedente come ammontarecomplessivo, ma in crescita per numero di interventi. «Che siano 80 o 110 milioni di euro cambia poco — spiega Gasperini —. Si tratta di cifre ancora troppo basse. La vera distinzione da fare tra gli incubatori è quella tra chi offre — anche ottimamente — spazi e servizi e chi fornisce anche accompagnamentosul mercato». Cosa che Digital Magics — che a Milano con RCS ha appena fondato RCS Nest — fa molto bene, essendo l’unico incubatore per ora quotato in borsa e l’unico presente su dal Nord al Sud. «La strada da percorrere — conclude Gasperini — è ancora lunga, ma quest’anno sarà il vero banco di prova per testare la reattività  del sistema Italia».
L’INIZIATIVA
Working Capital «fabbrica» di start up C’è tempo fino al 9 maggio per partecipare alla “call for ideasâ€
lanciata da Working Capital, il programma di accelerazione rivolto a start up innovative con
il quale Telecom Italia mette a disposizione 40 Grant d’impresa del valore di 25.000 euro ciascuno,
collegati a percorsi d’accelerazione della durata di 4 mesi nelle sedi di Milano, Bologna, Roma e Catania. «Inoltre – spiega Salvo Mizzi, ideatore e responsabile di Working Capital – le start up
selezionate verranno inserite nell’Albo Veloce di Telecom che consente loro di diventare fornitori del gruppo senza dover passare per le solite procedure di accreditamento». Una modalità unica nel
panorama nazionale che ora la Pubblica amministrazione sta pensando di clonare proprio grazie
all’esperienza maturata da Working Capital.